biografia
Cari Amici
La vita è qualcosa che si fa insieme.
Siamo quelli che incontriaMo
amici
Persone care, indimenticabili (e non solo per me)
Gianfranco e Marina
Appena arrivato a Bologna, nel 1973, dopo un anno di Università (vedi Biografia, se vuoi) arrivo al Circolo Cesare Pavese dove c’era la sede del Teatro Evento. Era una delle famose “Cooperative teatrali”, uno dei (tanti) Gruppi di Bologna che a quel tempo facevano teatro. Per me, che venivo dalle esperienze scolastiche con Giuliano Parenti e dalle lezioni al DAMS, è stato il primo lavoro in teatro. Mi hanno mandato a fare l’animatore teatrale per le Colonie estive della Provincia di Bologna. Poi assistevo alle prove, davo una mano all’organizzazione. Ma soprattutto respiravo l’ambiente, vivevo le dinamiche di gruppo. Per me era tutto entusiasmante. Ho assistito al maggior successo del gruppo, l’Eroica e fantastica operetta di via del Pratello. Il teatro Evento era guidato da Marina Pitta (attrice) e Gianfranco Rimondi (drammaturgo e regista). Tutti i gruppi erano invariabilmente diretti da una coppia, e quella di Marina e Gianfranco era ben assortita… Per me sono stati molto importanti. Li consideravo degli zii, dei fratelli maggiori. Dal febbraio del 2021 Granfranco non c’è più, ma nel 2016 il Comune l’aveva premiato con la “Turrita d’argento” e io avevo scritto una cosina, che poi Marina ha letto durante la cerimonia… Eccola qui:
Gino Pellegrini
Non mi ricordo se in Piazza Betlemme a San Giovanni in Persiceto, nei primi anni ’80, mi ha portato per la prima volta il mio amico Stefano Bicocchi in arte Vito, oppure Marco Schiavina in arte Orso, entrambi persicetani. Però ricordo che sono rimasto a bocca aperta: una situazione sospesa fra fantasia assoluta e un realismo quasi da favola. La piazzetta, che prima dell’intervento dell’artista sembrava essere piuttosto malmessa e degradata, era stata recuperata con un intervento pittorico incredibile, con la realtà dei muri, delle porte e delle facciate che erano state proiettate in una dimensione fantastica con personaggi dipinti, fregi, aggiunte, trompe l’oleil, prospettive improbabili, citazioni letterarie e cinematografiche. Ma chi aveva potuto immaginare e soprattutto realizzare una cosa del genere? E quanto tempo poteva averci messo? L’autore poi l’ho conosciuto, ed è diventato una delle persone a cui mi sarei più affezionato, stimandolo eccezionale come artista ma anche e soprattutto tenerissimo come persona e come amico: Gino Pellegrini.
Nato in provincia di Vicenza, a 16 anni va a studiare in America, in California, all’ Art Center School di Los Angeles e diventa pittore e scenografo. Lavora per Hollywood, realizza le scenografie pittoriche per film come Gli Uccelli di Hitchcock, Odissea nello spazio, West Side Story, Il pianeta delle scimmie; L’ammutinamento del Bounty; Indovina chi viene a cena; Mary Poppins; La spada nella roccia; Un maggiolino tutto matto e dei serial televisivi come Bonanza e Star Trek! Dipinge ed espone a Los Angeles e negli anni ’70 torna in Italia. E qui diventa “scenografo ambientale”, dipinge appunto i muri, i silos, le piazze. E lo fa con una tecnica incredibile, imparata facendo il cartellonista negli USA: rulli, pennelli e pennelloni, mascherature e spruzzi. In pochi minuti realizza contesti pittorici pazzeschi: in pratica le sue opere sono vere performance. Facciamo tante cose assieme, lui è disponibile ed entusiasta. Tra le altre cose partecipa alla nostra prima trasmissione televisiva alla Rai, Gran Paese Varietà, dove interpreta se stesso, appunto “il signor Gino”, che disegna le scene in diretta. Gli scenografi della Rai lo adorano, lo ammiarno, perchè è un fenomeno. Un fenomeno dentro ad un uomo dal carattere mite, tranquillo, da contadino veneto di pochissime parole. Quando una brutta malattia l’ha portato via stavamo progettando uno spettacolo su Matisse, di Mietta Corli, in cui Gino avrebbe dovuto re-interpretare a modo suo, in diretta sul palcoscenico, i famosi “ritagli”, i Papiers Coupes del pittore francese.
Osvalda, la sua compagna che è stata da sempre la sua complice nella realizzazione delle sue opere, le ha raccolte e riproposte in mostre molto belle, che io però faccio fatica a vedere perchè ancora, pensando a Gino, mi viene il magone, e non mi rassegno al pensiero che non c’è più. Mi avevano chiamato a presnetare una sua mostra commemorativa, ma io sono salito sul palco e sono scoppiato a piangere, e se lo facessi oggi mi ri-succederebbe. Non so perchè mi capita questo, con Gino. Basta così…
Giuliano Parenti
La vita è come una pallina da flipper che gioca tra i funghi elettronici luminosi che la rimandano qua e là: si rimbalza tra un incontro e l’altro, fino a determinare il proprio itinerario biografico. Il fungo che ha più orientato la mia vita l’ho incontrato che ero davvero piccolo, in prima media, subito dopo le elementari. Allora c’era la materia delle Applicazioni Tecniche. Normalmente alle bambine facevano fare economia domestica, e ai bambini (le classi erano ancora maschili&femminili) facevano fare il traforo. Io invece ho incontrato un professore che mi ha fatto Fare teatro. Che poi era il titolo di un suo libro. Perchè Giuliano Parenti era un professore atipico, un intellettuale vero. Tra l’altro la materia delle Applicazioni tecniche l’aveva in un certo senso inventata e sperimentata. Era una persona particolare.
Quando l’ho conosciuto aveva poco più di 40 anni, eppure era già piuttosto spiegazzato: viso rugoso, scarpe sfondate, aveva un trench un po’ accartocciato, borsa di cuoio da professore sempre gonfia di tante cose. Era il sosia del Tenente Colombo. Il prototipo dell’intellettuale trasandato. Eppure, in tutto questo, aveva una sua impareggiabile eleganza, accentuata anche dalla voce e dalla parlata, che ancora tradiva l’accento toscano nonostante i tanti anni passati a Mantova. Da giovanissimo aveva fatto il ferroviere, e tra l’altro mi ha trasmesso anche il piacere di andare in treno, che lui continuava a frequentare molto (ad un certo punto per raggiugere la sua seconda compagna e poi moglie, Liliana, partiva da Manrova il venerdì pomeriggio e andava in cuccetta fino a Foggia, per poi tornare bello fesco a scuola il lunedì mattina, e non c’era l’alta velocità).
Comunque io a scuola ho cominciato a marinare letteralmente le altre materie, e a frequentare le lezioni di teatro del prof.Parenti, anche con la benevola complicità degli altri professori, che lo stimavano molto. In realtà con Parenti si faceva di tutto: si segava un pezzo di legno per fare una scenografia, si leggeva un testo classico, si costruiva un proiettore imparando a fare un po’ gli elettricisti (mi ricrdo che ad un certo punto è scoppiata fragorosamente una lampa), si faceva un collage, ogni tanto ci scappava qualche poesia e molta letteratura. Artigianato eclettico, interdisciplinarietà e molta attualità culturale. Ricordo che le prime lezioni vertevano sull’interpretazione critica del linguaggio della pubblicità, credo che anche Umberto Eco in quegli anni cominciasse a pensarci. Poi sono cresciuto e al Liceo ero compagno di scuola di sua figlia Monica, e comunque ho continuato a frequentarlo. Ho conosciuto la sua prima moglie, Gina, una pittrice geniale. Per me Gina&Giuliano hanno rappresentato l’esempio perfetto del conflitto di genere, in e yang, Sarastro e la Regina della notte. Lui razional-maschile e lei intuitiv-femminile, all’estremo. Infatti ad un certo punto non ce l’hanno fatta più a stare assieme, ma comunque – per me – la loro coppia è stata una lezione di vita. Appena uscito dal Liceo mi sono iscritto al Dams a Bologna, e in questa scelta le esperienze con Giuliano certamente hanno pesato, e abbiamo cominciato a collaborare. O, meglio, mi ha preso come apprendista-assistente. Andavamo assieme a fare dei corsi di animazione teatrale per gli insegnanti, usando un accrocco scenografico che serviva ad isolare le parti delo corpo che potevano essere usate espressivamente, il Man-piè-viso. Ci ha scritto un libro, Giochiamo Davvero e mi ha regalato la possibilità di collaborare e di firmarlo con lui! La prima volta del mio nome su un libro. Comunque fatto sta che io ho comnciato a buttar giù i primi capitoli del libro. Al Liceo Classico avevo 10 in italiano, scrivevo paragrafi di 10 righe, facendo lo slalom-speciale fra virgole/puntevirgole/duepunti, inanellando una traiettoria narrativa audace seguendo una ineccepibie consecutio temporum. Giuliano mi disse che ero matto, che non si scriveva così un libro.
Mi ha costretto a tagliare, semplificare, sfrondare: soggetto/verbo/complemento/oggetto. Ho imparato il minimalismo… Ho imparato (spero) a scrivere e a fare il giornalista. Assieme abbiamo fatto uno spettacolo per ragazzi, La storia del Cane U. Un bassotto che aveva la testa fatta come la coda e quindi era diverso ed emarginato. Io animavo il pupazzo, infilandoci dentro le braccia. Abbiamo fatto un sacco di spettacoli, in tutta Italia. Poi, assieme anche a Maurizia (Syusy) abbiamo fatto anche un altro spettacolo, Quito&Queto&Quoto, tre personaggi per simboleggiare tra caratteri e tre atteggiamenti nei confronti della vita, quello irrequieto e quello pigro, il curioso e l’indifferente. Sempre nel solco del Teatro didattico, perchè questa è stata un’altra lezione di Giuliano: i contenuti sono importanti, il messaggio conta. Siamo diventati soci a tutti gi effetti, in una vera srl, Giochiamo davvero. E si è messo a “giocare” con noi anche suo figlio Davide, praticamente mio fratello adottivo, col quale poi avrei fatto… tutto: il teatro di strada, Lupo Solitario, il record mondiale di diretta TV fino al Varietà Gran Pavese. A quel punto un’altra lezione che ci ha dato Giuliano ha riguardato il rapporto con il “successo”, cioè riguardo al bisogno di approvazione da parte degli altri, che lui non ha mai cercato. Giuliano ha avuto un millesimo del successo che avrebbe meritato. Forse colpa&merito di tante cose: del fatto che facesse di tutto (arte, poesia, letteratura, scultura, letteratura) e quindi sfuggisse a qualsiasi classificazione, il fatto che avesse scelto di stare in Provincia (dove poteva fare cose di altissima qualità, come collaborare alla Rivista del Verri, ma nessuno poi lo veniva a sapere), ma anche perchè aveva un suo senso della dignità e non gli piacevano i compromessi. Mi ricordo che ad un certo punto ci chiama la RAI di Milano, per registrare credo un pezzo del Cane U. La RAI, si sa, è un ambiente un po’ difficile, circola una certa supponenza, non ci hanno trattato benissimo e lui, ad un certo punto, li ha mandati a cagare, fregandosene dell’occasione persa.
PS: Mi piacarebbe oggi far vedere a Giuliano cosa combina Olmo, suo nipote, figlio di Davide. Ha fatto un film, bellissimo. Ecco il trailer:
Copyright @ Patrizio Roversi, 2022
Clicca per mandarmi una mail e pormi qualsiasi domanda o proposta ti venga in mente.