biografia e curriculum
Corri-culum
(è tutta la vita che corro come un matto e mi faccio il mazzo)
lo vorrei sapere anche io…
chi sono
PREMESSA
Mi dicono: “In un sito tutto tuo devi mettere un curriculum.” Io non l’avevo mai fatto, e mi son messo a farlo. Ma è venuto fuori lunghissimo. Quasi un’autobiografia… E confesso che mi ha bloccato un complesso esibizionistico carpiato a doppio taglio narcisistico: cioè da una parte mi vergogno a parlare di me stesso in una sorta di confessione/autocelebrazione, e dall’altra ho paura di non metterci tutto, e che non sia abbastanza somigliante… La domanda di fondo è: ma a chi può interessare? Allora ho provato ad accorciarlo, ma rileggendo mi son venute in mente altre cose ed è diventato ancora più lungo. A quel punto stavo per cestinare tutto, mettendo solo il link con wikipedia dove qualcuno ha scritto delle cose su di me. Poi ho ricambiato idea, ed eccolo qui.
Vi sconsiglio di leggerlo, lasciate perdere, riassumere le cose che ho fatto probabilmente è servito solo a me. Mi è venuto fuori una specie di rigurgito di autocoscienza. Se mai avesse un qualche interesse risiede nel fatto che a me è capitato di vivere appieno gli anni ’70, 80, 90, quindi prendetelo come una testimonianza diretta di “come eravamo”. L’ho intitolato corri-culum perchè io stesso rileggendolo mi sono stupito: è stata una vita di corsa, a farsi il culo. Ma potrebbe intitolarsi “Mangiavamo alla carbonara” che ben rappresenta lo spirito degli studenti fuori sede degli anni ’70 a Bologna. Comunque siete avvertiti: potete saltare questa parte. Ma se decidete di leggerla vi chiedo pazienza e un po’ di pietà umana…
MIOGRAFIA
(biografia di me)
Nato post-maturo
Il carattere sedentario e la tendenza a starmene tranquillo l’ho dimostrata ancor prima di nascere: infatti – da conti fatti da mia madre che era una tipa molto precisa – sono nato di dieci mesi, quasi undici, un giorno di febbraio in cui, a Mantova, c’era un metro di neve. Era previsto che nascessi alla fine del 1953, invece sono nato in pieno ’54. Come rinforzo toponomastico alle mie tendenze caratteriali, mi hanno dato il nome di mio nonno paterno, che era un signore mite e dolce e poco avvezzo alle avventure: infatti non sapeva neanche andare in bicicletta e riteneva che le prime colline del Garda fossero un luogo pericoloso, perchè pieno di precipizi. In compenso il nonno Patrizio (che aveva fatto l’operaio in un Mulino) leggeva molto, sapeva di latino e greco, era un campione di Settimana Enigmistica e soprattutto diceva continuamente battute e inventava freddure a raffica, di cui rideva solo lui. E questo mi ricorda qualcosa di me stesso: a parte che io il greco l’ho studiato a scuola e poi subito dimenticato, l’identificazione col nonno ha funzionato.
Gerundio
Il primo anno di vita, mentre mia madre era assente perchè faceva la maestra in provincia e non le avevano neanche concesso l’allattamento, l’ho passato quasi tutto il giorno con mio nonno, nella casa che stava in centro a Mantova, tra il Rio e la Stazione. Mi dicono che mi metteva sulla carrozzina e girava per ore attorno al tavolo della cucina, raccontandomi una sacco di storie, favole, aneddoti e probabilmente mi diceva anche le sue battute, anche se ancora non potevo capirle (anzi, forse proprio per questo). Amava storpiare i nomi, e mi ha trasmesso un vizio che mi affligge ancora oggi: è anche per questo che non riesco a imparare le lingue. Comunque ho imparato prestissimo da mio nonno a parlare, ricordo che mi spiegava sempre il Gerundio: quando gli chiedevo cosa fosse lui esclamava sempre “Cagando!” e poi scoppiava a ridere e restava semisoffocato dalle risate. Comunque io a un anno già parlavo, inanellando anche una discreta consecutio temporum con annessi congiuntivi, ma a camminare ho cominciato tardissimo, dopo i 2 anni.
Ho la coda
Quei primi due anni in casa coi nonni mi hanno formato (forse deformato). Gattonando sui pavimenti a esagoni bianchi e rossi mi coricavo per terra, in terrazza, a guardare le rondini che volavano e garrivano in cielo, da cui una spiccata tendenza statico-contemplativa che è tipica del mio carattere: i paesaggi e la natura mi affascinano, ma da lontano. La frustrazione di non avere a disposizione la tetta della mamma mi ha predisposto poi ad un rapporto conflittuale col cibo, che non ho mai risolto: da una parte soffro di crisi bulimiche e se non bastasse – visto che senza dubbio in una vita precedente sono stato un cane, tant’è vero che “sento” di avere ancora la coda – sono affetto da voracità compulsiva, cioè ho una tendenza a divorare velocemente il mio pasto. In più ho il DNA di mia nonna Ida, moglie di nonno Patrizio, espertissima cuoca ma soprattutto golosissima che, nonostante il diabete (che mi ha gentilmente trasmesso) si cucinava fuori orario di soppiatto agnolini e stracotti, e se li mangiava da sola. Da parte della famiglia di mio padre mi sono venute anche le figure del mio Pantheon personale: il bisnonno Vittorio Comini, padre della nonna Ida, che girava il mondo facendo il cantante, nel coro di Caruso, e poi il prozio Quirino Roversi, anarchico e pacifista, che allo scoppio della Prima Guerra ha trovato il coraggio di disertare. Si parlava anche di una Maria Roversi, che era coinvolta in un attentato a Mussolini, ma non sono mai riuscito a saperne di più.
L’acqua
Quando sono stato un po’ più grande ho frequentato la casa dei nonni materni: tutto un altro mondo. Abitavano a Pegognaga, un Paese che resta a soli 32 chilometri dal “capoluogo” Mantova-città, ma oltre il Po, quindi al di là di un confine linguistico, gastronomico, culturale ben preciso. Per cui io mi son sempre sentito di appartenere a due Popoli diversi: in pratica un mezzosangue. Io e mio padre, a Pegognaga, eravamo definiti i “cittadini”, sinonimo di decadenza morale e di scarsa prestanza fisica. Mio padre Claudio era il Geometro del Consorzio di Bonifica, collega di suo suocero, mio nonno Adolfo, quindi il suo territorio era appunto l’Oltrepò mantovano e il mondo dell’irrigazione. Io sono nato vicino all’acqua: i Laghi di Mantova, il Mincio, il Po e i canali del papà e del nonno. Nota bene: era acqua dolce e ferma. Niente a che vedere col mare. Anche se mio padre era appassionatissimo di barche e quando andavamo al mare mi portava lungo i moli e mi raccontava tutto delle barche a vela, dal progettista alle dimensioni ecc. Era abbonato a Nautica, leggeva tutto ma non era mai stato su una barca. Ha fatto in tempo a salire su Adriatica ma non gli era piaciuta particolarmente, forse aveva intuito che un conto sono i sogni e un altro conto è realizzarli. Oh, se gli avessi dato retta…
Obiettore
Comunque la casa dei nonni materni, in aperta campagna lungo il Canale della Bonifica, è stata per me il luogo delle avventure: i miei zii (Nazzareno-detto-Nazzaro e Gabriele) erano pescatori e cacciatori. Mi portavano con loro, catturavano le lepri e poi le pulivano e scuoiavano in giardino. Ricordo la puzza e il disgusto, ma le scene mi affascinavano. Allevavano i conigli. Avevano un sacco di cani da caccia. Mi portavano anche a manare, cioè a raccogliere con le mani i pesci che alla fine dell’estate finivano in fondo ai fossi che si svuotavano dopo la stagione dell’irrigazione (ma io avevo paura delle spine dei pesci-gatto). Mi hanno fatto sparare, qualche volta, col fucilino da caccia calibro 32. Poi un giorno con una carabina a pallini ho colpito un passerotto: quando mi sono trovato tra le mani quel piccolo animale, che fino a poco prima era animato da quel mistero che chiamano vita, ed ora era inanimato, mi sono sentito una merda, e ho giurato che non avrei mai più usato un’arma. Infatti poi ho fatto l’obiettore di coscienza.
Padania
In soffitta nella casa dei nonni materni c’erano i romanzi rosa di mia mamma e di mia nonna Maria (la persona più dolce del mondo) ma anche e soprattutto i libri con tutti gli uccelli, i racconti di caccia nel Padule e persino in Africa di mio Zio Nazzaro, che io chiamavo e ancora chiamo Zio Zeb – da Zebolus MacCay, quello della “Conquista del West”. Io leggevo tutto. I maschi adulti della famiglia di mia madre avevano spiccate doti fisiche: il nonno Adolfo era un uomo coraggioso (socialista e antifascista irriducibile, pare che durante il ventennio tornasse a casa spessissimo portato ferito in carriola dai suoi compagni, dopo le quotidiane risse con i fascisti) e ricordo che, ormai ultrassessantenne, saltò un cancello alto un metro e mezzo, con mia attonita ammirazione. In ogni caso dal mestiere di mio padre e di mio nonno (e poi anche dello Zio Zeb) ho portato a casa la mia tendenziale familiarità con la Padania agricola: mi portavano a vedere i canali, mio padre mi spiegava le quote, cioè il livello delle acque; lo aiutavo a fare i rilievi con le paline, mi portava con sé dai contadini. Soprattutto andavo al Caseificio dietro casa dei nonni e mi incantavo a vedere come si faceva il formaggio. Era il Caseificio Falconiera, faceva parmigiano-reggiano. Adesso è diroccato e abbandonato, ma io ancora vado a visitare quelle rovine che mi commuovono più di quelle di Pompei, non a caso ci ho girato diverse scene delle mie trasmissioni.
Divani e poltrone
Io ho sempre guardato questo mondo agri-naturale con grande ammirazione, dilaniato dal contrasto tra i modelli psicofisici dei due nonni, sentendomi sempre però, alla fine Patrizio, più che Adolfo. Guarda caso della casa dei Nonni al Ponte Saino a Pegognaga, ai confini del Pianone (il nome è tutto un programma geomorfologico) ricordo soprattutto i ghiaccioli artigianali e le angurie in frigo e i lunghi pomeriggi estivi, dove tutto si fermava e si sentiva solo il ticchettio dell’orologio a pendolo. Ricordo anche il divano, un po’ scomodo perchè in stile anni ’30, con i braccioli di legno spigoloso. Io ho sempre avuto una spiccatissima tendenza a ritirarmi su divani e soprattutto poltrone: da piccolo i miei genitori mi affidavano spesso ai vicini di casa, che avevano una bella poltrona in stile Frau. Io stavo ore ore in poltrona, a leggere o a giocare con due soldatini, a fare le voci, a inventare storie, senza rompere le palle a nessuno. In quel periodo ho cominciato a leggere l’Enciclopedia “Miti, Leggende e Fiabe”, piena di storie da tutto il mondo. E poi tantissimo Salgari, con Stevenson, Melville e Dumas (padre).
Precario per vocazione
Dei miei genitori posso dire soprattutto che si sono amati moltissimo, non li ho mai sentiti litigare. Da cui io ho tratto una idiosincrasia assoluta per i conflitti, che cerco di evitare in tutti i modi. Però ricordo che, la mattina presto o la sera tardi, li sentivo fare sempre i conti del bilancio familiare, sommando i due magri stipendi e sottraendo le rate da pagare, e la cosa mi faceva tristezza: da qui ho deciso che io non avrei voluto mai un “posto fisso” e avrei piuttosto corso il rischio di un lavoro precario, dove però i soldi vanno e vengono e non contano. Come il bisnonno Vittorio, da parte della nonna Ida, che faceva appunto il cantante lirico. O come i bisnonni da parte della nonna Maria, che giravano le piazze con un carro di Tespi, uno suonava e l’altra cantava. Quindi è chiaro che nel mio DNA ci sono chiare tracce di devianza socio-spettacolare e di nomadismo compulsivo. Che contrastano con la tendenza alla tranquillità assoluta e pantofolaia: ma sta proprio qui il bello (e il brutto) della mia nevrosi.
Burnauta
L’incontro fondamentale per la mia vita lavorativa è avvenuto alle Medie Inferiori con il mio professore di Applicazioni Tecniche, Giuliano Parenti. Che insegnava tutto meno che applicazioni tecniche, almeno in apparenza: era uno scrittore, un intellettuale, un drammaturgo. Ci faceva fare teatro, e io marinavo le altre lezioni per stare da lui. Mi ha insegnato a scrivere, e anche a pensare. Negli anni avremmo poi lavorato assieme, fatto spettacoli didattici e anche un libro, Giochiamo davvero. Poi ho avuto anche la fortuna che, quando avevo quasi 14 anni, i miei mi hanno fatto un fratellino, Giorgio. Il suo arrivo mi ha liberato dall’essere figlio unico e ha distratto i miei genitori, lasciandomi grande libertà. Con l’arrivo del fratellino mi sono anche liberato da una fastidiosissima forma di ansia: ansia da abbandono, ansia da prestazione. Tanto per dire: dall’asilo fino al Liceo, tutte le mattine mi veniva da vomitare. Metà della mia vita l’ho passata a controllare l’ansia. Adesso… va meglio. Ogni volta che mi assale l’ansia di qualche cosa da fare, di un problema da sistemare (e mi succede 3 volte al giorno) devo immediatamente reagire e fare. Funziona, ma è faticoso. Anche da qui la definizione “corriculum, cioè una vita a correre per spegnere l’ansia”. Ai miei tempi nessuno parlava di “burn out”, termine che adesso è molto di moda, soprattutto fra i trentenni, che significa credo andar fuori di testa per lo stress. Guardando al mio passato, potrei definirmi un vero burnauta, nel senso che ho navigato sempre ai confini dell’abisso, senza mai cascarci dentro (finora).
Provinciale
Poi c’è Mantova, dove ho vissuto 18 anni. Forse la città più bella del mondo (dopo Venezia), una culla rassicurante ma anche – ossimoro! – una potenziale gabbietta opprimente, almeno dal mio punto di vista, almeno allora, cioè nei primissimi anni ’70. A Mantova, arrivato all’età di 16 anni, era praticamente già tutto scritto: la tua carriera, il tuo ruolo sociale, le tue relazioni. A Mantova allora succedeva ben poco: il ’68 l’ho visto alla televisione (che mio padre finalmente aveva comperato, perchè prima diceva che faceva male). Il Festivaletteratura ancora non c’era stato. E allora sono scappato, finendo il Liceo, da privatista, un anno in anticipo. Ma la mantovanità me la porto dentro, resto sempre un provinciale: la prova è che dovunque vada devo stare nel Centro Storico di qualunque città, sono allergico alle periferie.
Basta, mi fermo qui, perché credo che fin qui la mia autobiografia non-richiesta magari è riuscita a fare un po’ ridere, e poi arrivati a questo punto, in fondo c’è già tutto. Il resto è appunto corri-culum, cioè una corsa a fare questo o quello, per sopravvivere, per mediare con la realtà, magari per realizzare qualche sogno. Per capire le cose che ho fatto successivamente si devono semplicemente applicare le contraddizioni feroci di cui sopra, tra le quali mi sono dibattuto. Qui finisce la mia Prima Vita e inizia la seconda, che però è scandita dalle cose che ho fatto. Mai da solo: rigorosamente sempre con altri. Da solo io torno il bambino che stava in poltrona. Ma d’ora in poi vi racconto solo l’esperienza che ho fatto.
La mia seconda vita
1972. Volevo iscrivermi a Lingue Orientali a Venezia e studiare cinese e giapponese, invece si libera un posto letto a Bologna, e mi iscrivo al DAMS. Faccio sei esami in 6 mesi, poi… basta. Troverò il modo di laurearmi solo 28 anni dopo, al ventiquattresimo anno fuori corso. Un record: infatti ho la targa che mi ha dato il Rettore per aver pagato un sacco di tasse universitarie. L’ho fatto per i miei genitori, che però a quel punto mi hanno detto che non gliene fregava più niente.
1973: Estate: siamo nella Bologna “vetrina del PCI”, piena di locali, istituzioni, iniziative, strutture sociali. Mi si offrono ben tre lavori: all’ARCI, in un Quartiere e in una Cooperativa. Scelgo la Cooperativa Teatrale, il Teatro Evento, diretta da Gianfranco Rimondi e Marina Pitta (due persone fondamentali della mia vita) che mi mandano a fare l’animatore teatrale nelle Colonie estive della Provincia di Bologna. Dove una certa Maurizia Giusti faceva l’animatrice cinematografica per l’ARCI-Uisp. Socializziamo subito.
1974-75. Frequento, con Maurizia, la Scuola di teatro di Alessandra Galante Garrone, allieva di Lecoque. In pratica una scuola di Clown. Maurizia è la prima della classe, io verrò bocciato, perché non riesco a prendere sul serio neanche il genere comico: per esempio la maschera neutra, o la dizione (che pure era una delle materie, ma io mi rifiutavo di dire bene con la e aperta). Ma resta l’esperienza formativa più importante della mia vita, da cui ho imparato ad usare e a sfruttare le mie debolezze, a perdere ogni resistenza e quindi ad acquisire una dignità altra, cioè quella del teatrante, del pagliaccio, appunto. E anche a capire che l’importante, di fronte ad un pubblico, è stare sempre connesso al momento, al qui e ora…
1974-76 circa: io mi ero fatto una certa esperienza di teatro didattico, con il mio maestro Giuliano Parenti e poi con il Teatro Evento. Maurizia era pedagogista, esperta ed appassionata di Fiabe. Con altri complici più o meno damsiani (Sergio Maroncelli, Pierpaolo Bertocchi, Franco Cusumano detto Ciopper, Gabriella Buccioli ecc) che ne sapevano di tecniche di animazione teatrale (a metà fra Bed&Puppet e il Carnevale di Viareggio) facciamo spettacoli all’aperto per bambini. La nostra specialità erano i Percorsi da Fiaba: far vivere ai bambini l’iter spettacolare e soprattutto psicologico delle Favole di Tradizione. Una ispirazione psico-strutturalista. Contestualizzavamo e ambientavamo gli spettacoli in Parchi, Ville, Palazzi. Alcuni esempi: a Villa Guastavillani a Bologna abbiamo realizzato una casetta di Hansel e Grethel tutta da mangiare, un cubo di due metri per due per due. In Piazza Maggiore abbiamo fatto una balena con una bocca larga tre metri, lunga 12. In un asilo di Pegognaga abbiamo fatto togliere le scarpine ai bambini. Arriva un Orco che gliele porta via. I piccoli Eroi devono reagire al danneggiamento! Con i bambini inizia un percorso per superare delle prove e sconfiggere l’Antagonista, tra queste prove c’è quella di… mangiare la cacca del Mostro: pipì di aranciata e cacca di cioccolata, ma tutto iper-realista. Alla fine i bambini mangiano e vincono. All’uscita una mamma chiede: “Che cosa hai fatto a scuola” “Ho mangiato la merda!”. Segue polemica col Sindaco, che per fortuna era un mio secondo cugino.
1977. Scoppia il ’77. Io non ne voglio sapere di scontri e lacrimogeni, nel marzo mi faccio venire l’influenza e torno a Mantova, dalla mamma, per un paio di settimane. Quelle giuste.
1978-79. Facciamo teatro di strada. Io e Davide Parenti (figlio di Giuliano, quindi in pratica mio fratello) realizziamo la Mascin Sensasionàl: un parallelepipedo su ruote, di 2 metri di spigolo, rosso Ferrari, pieno di buchi e di fessure, detta La Macchina degli Scambi e dei Baratti. La gente infila qualunque cosa dentro la Mascin e Davide, che è dentro, restituisce un oggetto diverso: in cambio di 10 lire una volta magari ne dà 20, in cambio di una sigaretta gliela restituisce accesa, in cambio di una matita una poesia scritta su un foglietto ecc ecc. Io, da fuori, faccio il Banditore. Maurizia fa il Teatro Gonna: sul portapacchi della sua Fiat 500 canta le opere, mentre interpreta e muove i personaggi con le gambe, che spuntano da un palcoscenico di cartapesta fatto dalla sua sottana in stile dama del ‘700. Assieme poi a Mauro Nobis, il mio compagno di banco dalle elementari al Liceo, facciamo il Motociclo Eroico: io faccio Lancillotto a bordo della Moto Guzzi 500 di mio padre, truccata da cavallo. Maurizia è Brun-Brunilde a bordo di un motorino fuoristrada. Mauro è Olaf il Barbaro, a bordo di un Ciao. Facciamo una sorta di torneo cavalleresco per le strade, con tanto di giostra del Saracino, rischiando a volte di investire il pubblico. C’è anche il Maestro Salvo Nicotra, un grande musicista, che si presta.
1979. A quel punto avrei dovuto per forza fare il militare, ma non mi andava proprio. Ho approfittato di una nuova legge, appena uscita, che permetteva l‘obiezione di coscienza, senza per forza dover andare in galera. Quindi ho fatto, tra i primi, il Servizio Civile: due anni nelle scuole del Comune di Mantova e nel Manicomio di Dosso del Corso, sempre a Mantova. Per meglio dire ex-manicomio, perché grazie a Basaglia e a Pirella era stato aperto. Esperienza importantissima, fatta assieme a Davide Parenti, con la supervisione di psichiatri illuminati (Giovanno Rossi e il suo maestro Luigi Benevelli). Abbiamo realizzato, tra le altre cose, Orlando al Dosso, una manifestazione che prevedeva la presenza dentro all’ex-manicomio di scrittori, poeti, attori, pittori, performer che dovevano “aprire” le porte dell’Istituzione. Con l’aiuto di Mario Artioli che dirigeva la Rivista Il Verri, abbiamo coinvolto personalità come Adriano Spatola, Arrigo Loratotino e Giulia Niccolai. Sergio Maroncelli in quella occasione ha portato dentro al Manicomio semplicemente degli specchi, alti 2 metri e larghi uno. L’esperienza dei ricoverati, che per la prima volta si vedevano, è stata emotivamente incredibile.
1980. Davide Parenti e Gilberto Venturini (che aveva fondato Arci Gola ed era presidente dell’ARCI di Mantova) organizzano al Festival dell’Unità di Suzzara un Varietà, cioè uno spettacolo fatto di tanti numeri diversi, molto brevi. Serve un presentatore e mi chiamano.
Alla fine dell’anno decidiamo di proporre questa formula al Circolo ARCI più autorevole di Bologna: il Cesare Pavese di Via del Pratello 43. Per i Bolognesi, il Pavese. Un’Istituzione. Io ero di casa, perché, tra le altre cose, il Pavese ospitava la sede del Teatro Evento. Ci presentiamo al Direttivo, nella Sala Quadri (non ho mai capito se il nome si riferiva ai quadri alle pareti, che peraltro non ricordo, o ai quadri-di-partito). Ci accoglie il Direttivo, schierato: il Compagno segretario, Presidente, tesoriere ecc, con contorno di alcuni Consiglieri, tra cui Claudio Corticelli, esperto di cinema. I compagni Bonfiglioli e Cavalli erano gli organizzatori delle serate di Ballo Liscio, che si tenevano nella Sala Do Re Mi e nel cortile del Circolo. Il compagno Mandelli era con ogni evidenza il commissario politico. Parentesi: il Pavese, gestito da un gruppo di 50/60enni, che quindi rappresentavano ancora il legame diretto con la generazione della Resistenza, era un contenitore e un moltiplicatore di politica: ospitava le sedi dei partiti e dei sindacati, ospitava le associazioni più disparate (faceva convivere animalisti e cacciatori, che si scambiavano le chiavi della sala riunioni) e soprattutto promuoveva le iniziative culturali più all’avanguardia. Al Pavese veniva Pasolini, veniva il Living, qui è nato l’Angelo Azzurro di Bruno Migliaretti, il primo Cineforum in assoluto. Insomma, il Direttivo a cui ci eravamo presentati era promotore di un progetto politico culturale di assoluto valore, in un Quartiere difficile e di frontiera. Alla fine ci hanno interrogato, ci hanno ascoltato e ci hanno concesso due serate la settimana (mi sembra martedì e mercoledì) per fare il nostro Gran Pavese Varietà, sulla falsariga dell’esperimento fatto a Suzzara. All’inizio la “conduzione” e organizzazione era la nostra, con la partecipazione del Dottor Buda (Mauro Bertocchi) e di Olaf che faceva una sorta di tecnico-attore, del Maestro Marco Stefanini e con Maurizia che diventò Syusy Blady. Ospitavamo numeri musicali, teatrali, di danza, esibizioni sportive, miniconferenze, prestigiatori, paragnosti, imitatori. Serate fatte di segmenti di pochi minuti, conditi da una narrazione/conduzione che cuciva un continuo rapporto di improvvisazione col pubblico. Dopo un paio di mesi il Direttivo ci chiamò: pensavamo che volesse buttarci fuori e invece ci chiese di fare non più due, ma quattro serate alla settimana! Cavalli e Bonfiglioli, per far posto a noi “giovani”, rinunciarono alle loro serate di Ballo Liscio, che in realtà andavano a gonfie vele. Mentre lo racconto, ancora la cosa mi commuove.
1981-84. Il Gran Pavese è andato avanti 3 anni, con la complicità essenziale di alcuni amici “fissi”, che hanno caratterizzato uno stile e creato un linguaggio, un filone di spettacolo, che non aveva nulla del vecchio Cabaret – era un genere antico ma rinnovato, il Varietà appunto. Merito dei Gemelli Ruggeri (Luciano Manzalini ed Eraldo Turra), di Vito (Stefano Bicocchi), di Olga Durano, del Maestro Stefanini, di Salvo Nicotra, di Mario Sucich, di Anna Zurlo che faceva le Coconuts, del Signor Massimo (Massimo Marzaduri) che assieme a Mauro Nobis (Olaf) era un tecnico/attore, di Lorenz che si reincarnava in Elvis, del Mago Gilson, di Freak Antoni e poi anche di Alessandro Bergonzoni, Bruno di Bernardo, Eros Drusiani e di tanti altri. Si pagava 2.000 lire, consumazione compresa. C’era sempre la fila fuori. Un pubblico molto eterogeneo, tanto che una sera un gruppo di magistrati viene a ringraziarci ma aggiunge: “Che imbarazzo! Seduti vicino a noi c’erano i delinquenti che avevamo giudicato oggi pomeriggio…”. Abbiamo avuto anche modo di realizzare qualche idea, tipo il Corso di Spogliarello, di Syusy con Dodò d’Hambourg.
1984.Una sera i nostri amici Ciccio (Conversano) e Nene (Grignaffini), che hanno una Società di Produzione che si chiama Moovie Moovie, vengono allo spettacolo e si portano Giovanni Minoli, che allora era capostruttura di Rai 2 ed era l’inventore di Mixer. Minoli non si palesa, per ben due sere viene a vederci ma resta in incognito. Dopo qualche tempo ci propone di fare dei “numerini” surreali dentro Mixer, che Ciccio e Nene registrano al Pavese. Diventiamo i Minolati, o Mixerabili che dir si voglia.
1985-86. Minoli ci propone di fare un Varietà televisivo vero, a Rai 2, la domenica pomeriggio. Ci mettiamo al lavoro, con il Maestro Tommaso Vittorini che, saccheggiando la Banda del Testaccio, mette assieme una vera orchestra e Gino Castaldo, critico musicale di Repubblica, con cui cerchiamo di adattare i nostri numeri. Registriamo nel mitico Studio 1 di Via Teulada. Per noi, che ci definiamo telediscendenti, cioè nati con la TV (io sono nato il 4 febbraio ’54, il primo giorno in cui la Rai ha ufficialmente iniziato a trasmettere) e nutriti di linguaggio televisivo (il nostro varietà era con “telecomando automatico incorporato”, cioè veloce) registrare nello Studio 1, io con la giacca originale di Pippo Baudo e Syusy con i vestiti di Raffaella Carrà, è stata una emozione vera. Fatta anche di incazzature e incomprensioni con la “macchina” Rai. Ma è stato l’inizio, grazie a Minoli che ci ha dato un’occasione enorme. Poi Rai 3 trasmetterà anche il Concorso della Tap Model, idea di Syusy, con la regia televisiva di un altro amico della vita: Claudio Canepari.
1986-87. In quel periodo ci diamo dentro anche col teatro: la banda del Gran Pavese Varietà gira per l’Italia e coinvolge anche altri amici: Paolo Hendel, David Riondino, Leo Bassì. Abbiamo fatto lo spettacolo anche a Roma, e ad un certo punto dietro le quinte, mi pare Olga Durano, dice: “C’è Fellini in sala!”. Si, va beh… inventane un’altra. Invece era vero. Poi è venuto a salutarci. Delizioso. Emozione. Una delle esperienze più estreme è stata lavorare per un paio di settimane, tutte le sere, al Festival dell’Unità di Modena: il palco era collocato davanti ad un piccolo lago, costringendoci ad inventare i numeri più strani.
Sempre nello stesso periodo si fa vivo Antonio Ricci, autore di Drive In, e ci propone di fare una trasmissione su Italia 1, in cui radunare tutta la varia umanità diversamente-teatrante che avevamo in qualche modo messo assieme. Iniziamo a lavorare a Italia 1 con qualche puntata di riscaldamento a Drive In. Poi con Davide Parenti e con qualche new entry di Ricci stesso, parte Lupo Solitario. Decolla sui cieli di Milano a bordo di un dirigibile sul quale un improbabile equipaggio (io, Syusy e Vito) si collega a tante realtà antropologiche diverse. Davide propone l’Accesso, una Rubrica in cui la “gente” dice la sua, in cui opinionisti improbabili (ad es. Wanna Marchi, allora sconosciuta al grande pubblico) dicono la loro; Ricci coinvolge Moana Pozzi e va a cercare gli Ufologi, noi cooptiamo Orea Malià, parrucchiere tendenzioso, ed Eva Robin’s. E con Pangallo che fa il carcerato, Leo Bassì che impazza con la sua sega elettrica, con Syusy che fa incursioni nel garage di Umberto Eco e con la regia di Paolo Beldì, riusciamo a fare 13 puntate, prima che Silvio Berlusconi blocchi tutto. Segue l’Araba Fenice, in cui francamente noi abbiamo avuto una funzione molto marginale, un’esperienza vissuta senza entusiasmo. I pareri sono abbastanza unanimi: Lupo Solitario ha fatto storia con il suo linguaggio innovativo, ma forse è arrivato troppo presto…
1987. Nello stesso anno, a settembre, sotto al tendone della Festa dell’Unità Nazionale a Bologna, ripresi dalle telecamere di Rete 7 (emittente regionale della Coop) battiamo il Record Mondiale di durata in diretta TV: io sono stato 100 ore ininterrottamente in video, anche quando dormivo, anche al bagno. Claudio Canepari per 100 ore alla telecamera, Davide Parenti con Marco Schiavina detto Orso dietro le quinte, Syusy onnipresente. Gli Skiantos che conquistano il record della canzone d’amore più lunga del mondo e poi Elio e le Storie Tese che lo battono e viceversa. Un Guinness, ma soprattutto una satira dei Palinsesti TV. E un Grande Fratello molto ante-litteram.
1998-99. Minoli (che nel frattempo è diventato Direttore di Rai 2) ci offre altre opportunità. Syusy può realizzare un’altra sua idea: Se Rinasco. Una serie di 6 puntate in cui un gruppo di donne “tira a sorte” le opportunità di una vita nuova, tutta da ri-vivere. In quell’occasione abbiamo fatto anche dei servizi in alcune Regioni, per contestualizzare le storie: in Friuli, Emilia, Sicilia, Lazio e Puglia, con una breve deviazione per l’Albania.
E poi Minoli si coinvolge anche in un altro progetto: Politistroijka, un format in cui politici (veri, deputati e senatori) partecipano al Gioco della Politica, con un pubblico votante. Ricordo le telefonate di protesta di Craxi per l’imitazione che ne faceva Hendel, a cui Minoli rispondeva coraggiosamente per le rime. Altri tempi, altre tempre.
1989-96. A proposito di satira: per 7 anni collaboro a Cuore, settimanale di Resistenza Umana. Dal primo all’ultimo numero, grazie a Michele Serra, curo la Posta del Cuore. Cioè in pratica tengo i rapporti con i lettori, che culminano nelle varie Feste di Cuore, in cui migliaia di persone si riuniscono per delle “riunioni” che stanno a metà tra un Rave e una Festa dell’Unità a tema, a Montecchio e poi Imola. E i temi, a quei tempi, erano ideologici e non solo. E’ stata un’esperienza essenziale, travolgente. Non priva di contrasti: i lettori erano molto estremisti, io cercavo di moderare i toni. Alla fine ho collezionato un sacco di insulti, il più tenero era “socialdemocratico di merda”. Ma non era ancora il mondo dei social e degli haters, anzi: era tutta sana dialettica!!!
Cuore ha interpretato un momento, un’epoca. Ha intercettato un bisogno collettivo di confronto. Oltre a Michele Serra c’erano Andrea Aloi, Piergiorgio Paterlini e l’ex caporedattore de l’Unità Sergio Banali detto Tato. Poi Carla Palato, la super segretaria di redazione, e tanti collaboratori con cui è stato fondamentale conoscersi, frequentarsi: c’era il meglio della Satira italiana con Vauro, Vincino, Altan, Ellekappa, Roberto Perini, Disegni e Caviglia, Stefano Benni, Domenico Starnone. E poi i “giovani” Roberto Marcanti, Lia Celi, Alessandro Robecchi e Luca Bottura. Collaborano anche i miei amici Davide Parenti e Claudio Canepari. I grafici erano Mauro Luccarini e Fabio Bolognini. Cuore – prima inserto nell’Unità e poi testata indipendente – è arrivato a vendere 140.000 copie. Nel periodo d’oro di Mani Pulite anche 160.000. Poi, come tutti i “fenomeni” socio-culturali, declina e muore, purtroppo non benissimo. Ma per me resta un’esperienza che mi ha accompagnato per una fetta di vita. La satira, cioè la licenza di vedere il mondo da una prospettiva diversa, vero strumento di analisi della realtà che rovescia il punto di vista, è essenziale. Poter dissacrare è un diritto, a volte da conquistare duramente (basti pensare a Charlie Hebdo a Parigi e alla strage). Per questo i vari titoli di Cuore non sono mai stati semplice goliardia: “Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti”, “Aiuta lo Stato: uccidi un pensionato”…
1988. Partecipo su Rai 3 al programma di Fabio Fazio e Bruno Gambarotta Porca miseria. Bella amicizia, ci siamo molto divertiti, sempre con la regia di Paolo Beldì che mi inquadrava sempre le scarpe.
1989. Con Claudio Canepari e Davide Parenti faccio dei servizi giornalistici leggeri per Mixer. Nell’89 Minoli mi manda in Russia, con Sergio Spina (regista Rai, altro padre spirituale, per me) per fare un servizio sulle prime elezioni in URSS. Syusy, che è lì in veste di accompagnatrice, ad un certo punto mi scippa l’operatore e scappa con lui: ha visto Gei Ar (quello di Dallas) sulla Piazza Rossa e lo va ad intervistare. Minoli al nostro ritorno manda in onda il suo scoop e non ricordo se poi ha usato anche il mio serissimo servizio sulle elezioni o se lo ha cestinato. Nello stesso anno Syusy con Claudio Canepari fa un viaggio, a Parigi, in occasione del festeggiamenti per il bicentenario della Rivoluzione. Ne esce una sorta di racconto di viaggio, trasmesso da Telemontecarlo. È importante perché crea un precedente…
Natale ’89. Io e Syusy vogliamo prenderci una vacanza e fare un viaggio, il nostro primo viaggio. Lei insiste per andare in India. Io sono terrorizzato dalle 3M dell’India: Merda, Miseria, Malaria. Syusy allora compra una telecamerina 8HB, appena uscita, che ha una qualità sufficiente per essere mandata in onda e mi convince a partire, con la scusa che “andiamo per lavoro”. Infatti filmiamo la nostra prima avventura di viaggio, torniamo e la monta Giuseppe Ghinami, che diventerà il pilastro fondamentale di tutte le nostre future esperienze. Portiamo il filmatino a Minoli e intanto che lui ci pensa succede che il Tg2 indice uno sciopero: “Di passaggio in India” dura giusto mezz’ora, come il Tg, lui lo manda in onda per tappare il buco e funziona! Inizia la serie di Turisti per Caso. Si aggrega al gruppo Marco Schiavina, detto appunto Orso, che sarà il nostro Stratega Turistico, l’anima della programmazione. All’inizio andiamo soli io e Syusy, almeno fino al ’96, poi verrà con noi Giuseppe Ghinami, con Paolo Santolini e poi Giacomo Frignani, come operatori/complici/compagni di viaggio. Troupe superleggera… Iniziano i viaggi e le puntate di Turistipercaso:
- 1991 – India, il primo viaggio non si scorda mai. Infatti non mi dimenticherò mai Puttaparthi, dove c’era l’Ashram di Sai Baba. I fedeli, che io chiamavo “Comunione e Meditazione”, bevevano l’acqua della fontana, dicendo che non si potevano ammalare, visto che c’era la “protezione” del Guru. Io, miscredente, bevevo solo acqua minerale. Però a loro (Syusy compresa) non è successo niente. A me è venuta la gastroenterite, con febbrone. Ho passato tre giorni in una stanzetta di un alberghino, dove c’era solo il letto, un chiodo (l’armadio/attaccapanni), un buco (il cesso) e un rubinetto. Stava sopra ad un negozietto che vendeva musicassette, e trasmetteva, dalle 7 alle 19, ininterrottamente musica modale (cioè sempre uguale) ad altissimo volume.
- 1994 – Cuba. In pieno periodo “speciale”, cioè in cui mancava tutto. C’era solo un grande entusiasmo, tanta gente davvero speciale. C’era anche Zoe, nella pancia della sua mamma. E soprattutto Gianfranco Ginestri, grande amico e grandissimo amante di Cuba, a farci da badante turistico.
- 1994 – Brasile. Abbiamo sfilato al Sambodromo di Rio, con il Carnevale di Cento, una cittadina tra Ferrara e Bologna. Incredibile!
- 1995 – Egitto. Il primo contatto con l’Islam e con il Medio Oriente. Accompagnati da una delegazione della Università della Terza Età di Modena, che ne sapevano più delle Guide.
- 1996 – Marocco e Turchia. La Turchia l’abbiamo fatta in barca, bellissima. Peccato che in aprile facesse ancora freddo, con tempeste varie.
- 1996 – Nello stesso anno facciamo anche un altro programma, che raccoglie i nostri primi viaggi: Condominio Mediterraneo: L’Italia s’è desta, in cui invitavamo degli “amici” a casa nostra per vedere e commentare insieme i filmini delle nostre vacanze. Di amici ne sono venuti tanti, tra gli altri Bruno Gambarotta, Francesco Salvi, Fabio Fazio, Sveva Sagramola, Marco Pantani, Antonio di Bella, Piero Angela, Folco Quilici, Giorgio Celli, David Riondino e molti altri, ma soprattutto abbiamo inviato moltissimi stranieri, immigrati in Italia, dal Marocco, Tunisia, Egitto e Turchia, per far commentare a loro direttamente i nostri viaggi nei loro Paesi. Si approfondivano i temi, cenando e brindando in stile Mediterraneo/nordafricano…
- 1996 – Con La Maratona di New York, passiamo a Rai 3 (dove Giovanni Minoli è diventato Direttore), in prima serata.
- 1997 – Polinesia con Antoine e Messico con Pino Cacucci e Gloria Corica.
- 1998 – Argentina con Francesco Guccini e Giorgio Comaschi.
- 1999 – Giappone e poi Dal Polo all’Equatore, una serie di puntate dalle Svalbard ai Caraibi. Il Giappone è stato forse il viaggio che ha segnato una svolta, anche in termini di successo della serie.
- 2000 – Capodanno in Cina e Spagna, Siviglia.
- 2001 – Nepal e Tibet. Con il nostro amico naturopata Erus Sangiorgi e con Franco Battiato. Qui abbiamo anche conosciuto Marco Banchelli, ciclista per caso che ha girato il mondo in bicicletta.
1999. Viene a trovarci un amico più giovane, Gabriele Lenzi, e ci propone di fare un Sito. Un sito? Ma cosa intendeva? Fare un finto sito archeologico? Gabriele, con pazienza, ci spiega come funziona il web e, per fortuna, gli diamo retta. turistipercaso.it ha subito grande successo, anche per merito di Martino Ragusa, il mio amico del cuore, uno psichiatra prestato alla letteratura e alla gastronomia, che è riuscito a gestire e moderare i primi Forum con grande competenza. Turistipercaso.it in poco tempo è diventata davvero l’Agorà in cui turisti di tutti i tipi si scambiavano esperienze. Il nostro sito è stato fra i primissimi esempi italiani di web 2.0. Ad oggi raccoglie oltre 40.000 itinerari di viaggio. Abbiamo vinto per 3 volte il Premio WWW del Sole 24 Ore (2003, 2005, 2007) e per 8 volte il premio Macchianera Award come miglior sito di viaggi italiano dell’anno (edizioni 2011, 2012, 2013, 2014, 2015, 2017, 2018 e 2019). L’editore poi dal 2009 diventa EdMaster e successivamente Valica, ma noi ancora mettiamo il naso nella gestione dei social.
Parentesi: 1998. Minoli mi chiama, assieme a Paolo Taggi, Andrea Salerno e Maria Vittoria Fenu, per condurre una trasmissione dedicata ai libri, con la partecipazione delle scuole superiori di tutta Italia: Per un pugno di libri. Io obietto che mi considero un analfabeta di ritorno: infatti, dopo gli exploit al Liceo Classico (10 in italiano e in storia in pagella e due anni in uno) non ho letto più un libro. Lui mi risponde che mi ha scelto proprio per questo: per condurre una trasmissione sui libri serve uno ignorante, che non si ricorda più niente, per non mettere a disagio il pubblico, per favorire l’identificazione. A fare l’esperto c’è già Piero Dorfles. Io – fedele alla linea – mi rileggo tutti i libri con cui si gioca, ma facendo sempre rigorosamente la parte dell’ignorante (che mi viene benissimo). Una bellissima esperienza, con la regia di Mirko Skofic, che durerà fino al 1991, quando dovrò partire per un altro viaggio…
2000. Infatti, mentre nel 2000 si andava in Cina e in Spagna, stava maturando un’altra idea. Perchè non proseguire i nostri viaggi, non più “a caso”, bensì seguendo un filo narrativo e geografico? In pratica: un Giro del Mondo. Come al solito è Syusy a lanciare il cuore oltre l’ostacolo (tanto poi tocca a me scalare l’ostacolo e andare a recuperare il cuore): un Giro del Mondo in barca! Il sogno di tutti. La faccia tosta non ci manca: ri-lanciamo l’idea al Salone della Nautica di Genova e – metaforicamente – i marinai veri ci lanciano i pomodori: ma chi vi credete di essere? Solo Massimo Franchini, ingegnere nautico e progettista di bellissime omonime barche, ci prende sul serio e ci dà una mano. Alla fine si trova il guscio d’acciaio di una barca di 22 metri, arrugginito in un cantiere fallito, nelle Marche. Decidiamo di vendere la licenza del sito Turistipercaso.it e con quei soldi, più molti debiti, compriamo – a peso – lo scafo e lo facciamo portare nei cantieri di Fano. Nel prezzo è compreso anche un vecchio motore. Cominciamo a restaurare e ad armare la barca, cerchiamo uno sponsor e pensiamo di averlo trovato, poi lo perdiamo ma non ci perdiamo d’animo. Con il supporto morale e materiale di Sandro Bottazzi (un amico, un altro fratello, che nella vita faceva il funzionario nelle Cooperative) troviamo la sponsorizzazione della Regione Emilia-Romagna, del Prosciutto di Parma e del Parmigiano-Reggiano. In onore della nostra Regione la barca si doveva chiamare Piadina, invece optiamo per Adriatica.
2002. Io salpo su Adriatica da Gibilterra il 4 febbraio, il giorno del mio compleanno. Il primo equipaggio è un monocolore sardo: Marco Covre, Vanni Chessa e Marianna la marinaia. E poi c’è anche Cino Ricci, un altro dei miei Numi tutelari, quelli che io chiamo zii… Parte il Progetto di Velisti per Caso, 19 puntate di prima serata su Rai 3 in onda dal 2002 al 2005, più un sacco di puntatine, collegamenti e servizi. Lo chiamiamo il Giro del Mondo in ottanta persone, perché sono moltissimi i complici che si aggregano nelle diverse tappe: Stefano Bicocchi/Vito, David Riondino, Natasha Stefanenko, Gerry Scotti, Giorgio Comaschi, Giobbe Covatta e altri.
Le tappe del viaggio:
- Marina di Ravenna – Gibilterra (13 gennaio 2002 – 30 gennaio 2002)
- Gibilterra – Canarie (4 febbraio 2002 – 9 febbraio 2002)
- Canarie – Antigua (Oceano Atlantico) (12 febbraio 2002 – 28 febbraio 2002)
- Caraibi (1º marzo 2002 – 21 marzo 2002)
- Isola della Gioventù (Cuba) – Cancún (Messico) (22 marzo 2002 – 4 aprile 2002)
- Cancùn (Messico) – Colón (Panama) (6 aprile 2002 – 25 aprile 2002)
- Panama – Isola del Cocco (26 aprile 2002 – 4 maggio 2002)
- Isola del Cocco – Isole Galapagos (5 maggio 2002 – 16 maggio 2002)
- Isole Galapagos – Isole Marchesi (Oceano Pacifico) La traversata fino Hiva Hoa, 3050 miglia, l’abbiamo fatta in 15 giorni, poi ci siamo fermati alle Marchesi, toccando altre isole, fino al 17 17 giugno 2002)
- Isole Marchesi – Tuamotu, Isole della Società, Tonga, Samoa, Fiji (18 giugno 2002 – 10 settembre 2002)
- Fiji – Auckland (Nuova Zelanda) (11 settembre 2002 – 10 ottobre 2002)
- Poi Adriatica, sulla quale erano saliti come skipper Gigi Nava e Irene Moretti, resta in Nuova Zelanda per i mesi in cui non era possibile navigare il Pacifico per il meteo
- Auckland (Nuova Zelanda) – Sydney (Australia) (15 aprile 2003 – 22/23 aprile 2003)
- Sydney (Australia) e barriera corallina (30 aprile 2003 – 2 maggio 2003)
- arrivo a Brisbane (Australia) (3 maggio 2003 – 4 maggio 2003)
- fino a Cairns (Australia) ( 20 maggio 2003)
- Cairns (Australia) – Darwin (Australia) (20 giugno 2003 – 15 luglio 2003)
- Darwin (Australia) – Bali (Indonesia) (27 luglio 2003 – 10 agosto 2003)
- Bali (Asia) – Singapore (25 agosto 2003 – 1º settembre 2003)
- Singapore (Asia) – Phuket (Thailandia) (5 settembre 2003 – 15 settembre 2003)
- Phuket (Thailandia) – Maldive (febbraio 2004)
- Maldive – Yemen (marzo 2004)
- Yemen – Sharm el-Sheikh (Egitto) (aprile 2004)
- Sharm el-Sheikh (Egitto) – Suez (maggio 2004)
- Suez – Bari (maggio 2004)
- Bari – Arrivo a Marina di Ravenna (maggio 2004)
Sono uscite appunto 19 puntate di prima serata su Rai 3, con pillole girate e montate a bordo e poi trasmesse nel nostro studiolo di Bologna praticamente in diretta, grazie a due parabole satellitari: in quel momento una cosa assolutamente all’avanguardia. A trasmettere dal mezzo di un oceano, in quegli anni, siamo stati i primi.
2005. Ci richiamano a Rete4, a Mediaset, per condurre Ultima Razzia, una bella idea: dopo la chiusura, un gruppo di amanti dei libri si introduce in libreria e si diverte a razziare i propri libri preferiti. Stimolati da noi, ci raccontano il perché e ci rappresentano il valore di ogni opera letteraria…
Nota bene: dopo la parentesi del Giro del Mondo in barca, c’è una coda di Turisti per Caso:
- 2006 – Africa: Senegal, Etiopia, Mali e Sudafrica con una postilla negli Emirati arabi
2006. Nello stesso anno un’amica che lavora al CERN di Ginevra e vive in Francia, Paola Catapano, ci avverte che alcune Università e Istituzioni Scientifiche francesi avevano l’intenzione di rifare il giro di Charles Darwin, in occasione del secondo centenario della sua nascita, e cercavano la barca adatta. Ci chiede se poteva proporre Adriatica. Naturalmente saremmo stati felici che Adriatica potesse servire ad un tale scopo. Ma i Francesi rispondono che mai e poi mai avrebbero usato una barca italiana. Sarà stato un rigurgito d’orgoglio post-nazionalista (o tiramento di culo, se preferite), sarà che l’idea era bella, abbiamo deciso (io soprattutto) che… il Giro di Darwin l’avremmo fatto noi! Diventeremo Evoluti per Caso, sulle tracce di Darwin. Paola, che conosce tutti gli Scienziati evoluzionisti italiani, ci introduce presso un gruppo di professori e ci aiuta a coinvolgerli nel progetto. Per quanto riguarda l’Università di Bologna, Marco Passamonti, naturalista, andrà alle Galapagos per condurre osservazioni sulla fauna marina e terrestre. In Cile il fisico Gian Piero Siroli si occuperà di bio-astronomia visitando nel deserto di Atacama il centro astrofisico di ricerca ALMA. Sempre in Cile, a Valparaiso, il professor Stefano Tinti (vulcanologo) introdurrà il tema geologico: in una delle zone più sismicamente attive del pianeta il suo gruppo porterà avanti uno studio sui terremoti e sui maremoti, riflettendo anche sui sistemi di monitoraggio e di allarme esistenti. Infine il Professor Davide Pettener (antropologo evoluzionista) guiderà la spedizione in Perù sulle tracce della diversità umana per riflettere sull’adattamento. L’Università di Ferrara introduce il tema della genetica forense: in Argentina, a Buenos Aires, Guido Barbujani e i suoi studenti lavoreranno a un progetto per identificare i corpi dei desaparecidos. L’Università di Siena con Francesco Frati partecipa alle osservazioni naturalistiche di dicembre, nelle Isole Galapagos. L’Università di Padova promuove due progetti: lungo le coste cilene, nelle acque dell’arcipelago di Chiloè, Rudi Costa e Maria Berica Rasotto faranno insieme ai loro studenti osservazioni di biologia marina. Lungo la Penisola di Valdés, il gruppo coordinato da Andrea Pilastro farà osservazioni sul comportamento sociale e riproduttivo di orche, otarie, elefanti marini, pinguini e cormorani. L’Università Milano Bicocca gestirà la tappa a terra in Ecuador con Telmo Pievani, filosofo della scienza. Con loro anche Marco Cattaneo, vice-direttore della rivista Le Scienze. L’Università di Roma Tor Vergata ha due gruppi in partenza: il primo con Gabriele Gentile (che alle Galapagos scopre un’altra specie di iguana) e poi il gruppo di Valerio Sbordoni che, in Terra del Fuoco, catturando un grillo, spiega il meccanismo di deriva dei continenti. Il Museo Civico di Storia Naturale di Milano e l’Università di Pavia condividono una spedizione in Patagonia, col paleontologo Cristiano Dal Sasso, Ausonio Ronchi e Andrea Di Giulio, sulle tracce dei dinosauri. Incontriamo anche Paolo Gandossi, paleontologo e Jorge Calvo. La primatologa Cecilia Veracini andrà in Brasile. Dove Syusy incontrerà anche la professoressa Niede Guidon dell’Università di Parigi che ha trovato ossa umane che dimostrano che l’uomo ha popolato il Continente americano 60.000 anni fa, e non 15.000 come normalmente si crede. Parteciperà anche Mario Tozzi, geologo, assieme alla stessa Paola Catapano che curerà un progetto con i ragazzi più giovani.
Lo skipper, che avrà il ruolo del Capitano Fitzroy, è Filippo Mennuni. Lorenza Accusani dà una mano a Paola a trovare gli sponsor (Enel e Sanofi Aventis). Adriatica come nave-scuola, nave-laboratorio, nave-studio televisivo.
L’anno dopo abbiamo montato 6 puntate di prima serata per Rai 3, che poi – grazie alla Produzione che come sempre era Sosia-Pistoia di Luisa Pistoia – sono diventate anche 7 puntate di prima serata per Sky 1. Dopodichè io ho girato a lungo facendo serate dal vivo, facendo vedere le pillole video girate in questa occasione e intervistando i professori, col mio amico tecnico Marco Bonilauri detto Sgarbazza, e ci siamo molto divertiti.
2008- 2009. Syusy, navigando a bordo di Adriatica in Mediterraneo, realizza due serie de I Popoli del Mare, un viaggio storico-archeologico sulle tracce degli antichi navigatori, in onda su Sailing Channel, e io mi aggrego.
Sempre nel 2009 ho fatto una dozzina di puntate della trasmissione Tutto fa Storia su History Channel, dedicata alle invenzioni che hanno cambiato la nostra vita quotidiana. Come è nato il rasoio? E il computer? E la lavatrice? E’ stata una bella esperienza, tutta fatta con Giuseppe Ghinami e Giorgio, autore. Trasmissione a bassissimo costo, che era andata anche bene, ma poi alla fine il Canale ha deciso di non investire in produzioni italiane, meglio semplicemente tradurre le puntate anglosassoni…
2009. In questo stesso anno mi chiama un amico, Ambrogio Lo Giudice, per interpretare una parte in uno sceneggiato per Rai 1: David Copperfield. Dovrei interpretare Wilkins Micawber. Gli rispondo che non sono capace di fare l’attore, ma lui insiste. Per fortuna, perché è stata una esperienza bellissima: due ore di trucco, abbiamo girato a Praga. Era un freddo boia: le attrici per combattere il freddo si nascondevano sotto le gonne ottocentesche degli scaldini, col rischio di ustionarsi. Ho ficcato il naso in tutta la produzione, davvero interessante. Ho solo trascurato la mia parte, e non mi ricordavo mai le battute: alla segretaria di edizione, che doveva appuntare le mie frasi sempre diverse, è venuto l’esaurimento nervoso. Nonostante questo Ambrogio mi richiamerà per fare una parte nel documentario Andate a lavorare, dedicato ai 50 anni del DAMS; nel 2022. In effetti, senza volerlo, qualche esperienza al cinema l’ho fatta. Nel 1990 avevo fatto una mini-particina ne La voce della Luna, addirittura con Federico Fellini. Una meraviglia vedere Fellini e Delli Colli litigare bonariamente fra loro: Delli Colli avrebbe voluto curare meglio la luce, Fellini era impaziente di fare la ripresa. Fellini era una meraviglia, e anche Roberto Benigni che era il protagonista. Paolo Villaggio (che faceva la parte di mio padre) era invece molto scorbutico. Fellini prima programmava di girare una scena, poi la mattina dopo ci ripensava (per la disperazione della Produzione). In questo modo, per dire una battuta (che poi Fellini mi ridoppierà facendomi dire tutt’altro) sono stato convocato 4 giorni di fila.
Nel 1991 ho fatto anche una parte in Volere volare, per la regia di Maurizio Nichetti, un grande amico, molto condiscendente nei miei confronti. C’era anche Angela Finocchiaro. Io interpretavo un doppiatore di film porno, facevo sedere Angela su una fotocopiatrice e le fotocopiavo il sedere: anche per questo (ma non solo) mi sono perdutamente innamorato di lei.
2010-2012. Parte su Mediaset, a Rete4, il progetto di Slow Tour – Italiani non per caso: dopo anni in giro per il Mondo, ci viene la voglia di raccontare l’Italia. E non partendo dalle mete classiche (tipo San Marco o Colosseo), ma da quelle marginali, attraverso gli itinerari della Provincia, alla scoperta di percorsi poco conosciuti. Assieme a Syusy abbiamo fatto 3 serie da 12 puntate, raccontando poi anche sul web centinaia di località, di Feste, di manifestazioni.
2013- 2018. Mi chiama Maria Pia Ammirati, allora vicedirettrice di Rai 1 e mi dice, a bruciapelo, se voglio condurre Linea Verde. Quasi butto giù il telefono, perchè mi pare uno scherzo. Poi mi spiegherà che siamo in un periodo pre-elettorale molto incerto, non si sa come andrà a finire (in realtà poi non vince Bersani) e quindi nessuno le sta raccomandando un nome specifico per la conduzione, e lei pensa che io potrei farcela. Linea Verde è il mio sogno, il mio obiettivo nella vita. Raccontare finalmente l’Agricoltura! Mia madre, quando viene a saperlo, mi confida un segreto: quando lei e mio padre mi videro in TV la prima volta, lui aveva detto “Massì… fa delle cosette… certo se facesse Linea Verde sì che vorrebbe dire che fa sul serio…”. Ho condotto Linea Verde, una delle trasmissioni di punta di Rai 1, erede di La TV degli Agricoltori e di A come Agricoltura (condotta a suo tempo da Minoli) per 5 anni. Un’esperienza che non riesco a sintetizzare in poche righe: ogni settimana un giro in elicottero per filmare e vedere un’Italia che non ti immagini, circa 150 puntate in cui ho girato l’Italia dalla Valle d’Aosta alla Sicilia visitando migliaia di aziende e poi la burocrazia Rai, le professionalità della Rai, i limiti della Rai, i potenti mezzi della Rai, la popolarità della Rai (si arrivava anche a 4 milioni di spettatori). Ho mantenuto buoni o buonissimi rapporti con tutti: l’unico regista con cui ho litigato alla fine è diventato l’amico più tenero. Soprattutto mi porto dentro un rapporto del tutto speciale con la “squadra”, cioè coi tecnici: ho cercato di conquistare la loro stima e collaborazione, alla fine loro mi hanno conquistato… il cuore. Letteralmente. Persone di grande umanità e di altissima professionalità. Ci sentiamo ancora regolarmente. Quando non mi hanno confermato mi è dispiaciuto, anche se effettivamente la linea editoriale della trasmissione stava cambiando: l’agricoltura non era più il focus. Ma ormai il sacro fuoco della divulgazione riferita ai prodotti della terra era irrimediabilmente acceso dentro di me. E la voglia di raccontare l’agricoltura non mi ha più abbandonato. In ogni caso, durante l’esperienza quinquennale di Linea Verde, mi sono successe molte altre cose.
2013. Al Castello Sforzesco di Vigevano Gilberto Venturini e Marcella Cicognetti organizzato Rise, manifestazione dedicata al riso. Io faccio il conduttore che presenta e intervista produttori, storici dell’agricoltura e cuochi. La regia è di Mietta Corli, che nella vita fa la regista/scenografa di Opera Lirica, ma che si presta ad organizzare lo spazio e monta una serie di filmati ad hoc. È il primo approccio col mondo del riso: nel 2015, in occasione di Expo 2015 partecipo a una serie di serate a tema dedicate al riso, sempre con la regia e i filmati di Mietta Corli, per conto dell’Ente Nazionale Risi.
2016. In occasione di Mantova Capitale della cultura, sempre Venturini e Cicognetti per Slow Food organizzano un evento in Piazza Sottoriva del Rio, dedicato alla cultura di acqua dolce, con le video-proiezioni e il mapping di Mietta Corli e la complicità del mio amico Vito.
2016. La collaborazione con l’Ente Risi culminerà poi un anno dopo nella realizzazione di un filmato in VR, cioè realtà virtuale, quella che poi si vede con i visori a 180 gradi: Coi piedi nell’acqua. Affiancato da un altro filmato, in cui interpreto contemporaneamente 4 personaggi. Un’esperienza importante che vorremmo ancora sviluppare: non la “solita” realtà virtuale realizzata in video-grafica, ma proprio dei filmati live. Mietta Corli (che insegna a Parigi al Centro Professionale CFPTS-La Filiere l’uso delle nuove tecnologie nello spettacolo) in questo caso non cura semplicemente la regia, ma sperimenta un nuovo linguaggio: mette le telecamere a 360 gradi dentro alle macchine agricole, in mezzo alla risaia, le dissemina lungo un percorso, con la complicità di Mario Flandoli le attacca anche ai droni. Poi ne mette una in mezzo ad una tavola e mi fa fare appunto 4 personaggi, 4 cuochi che cucinano risi e risotti diversi e quindi, inventandosi tecniche di montaggio assieme a Anapì Stori, fa in modo che lo spettatore sia dentro la scena, così come in risaia stava coi piedi nell’acqua, appunto. Poi Mietta mi porterà con lei a Parigi, dove – all’interno dei suoi Corsi – mi farà fare alcune piccole performance. In particolare Risottò, uno show cooking in cui io ho fatto un risotto per i Francesi, nel contesto scenografico dei filmati e delle proiezioni realizzate appunto dagli allievi. Ma questa è una cosa che appartiene al mio presente: si tratta di un progetto ancora in pieno svolgimento.
Nel 2018-2019, con Giuseppe Ghinami, ho fatto anche la web series Digitali per Caso in collaborazione con CNR – Registro.it, per raccontare esempi virtuosi di digitalizzazione nella piccola media imprenditoria artigianale italiana. Molto interessante, per me che di web capisco poco.
2020-22. Ege Produzioni, che rappresenta il Consorzio del Grana Padano, mi contatta e parte su Rete 4 il progetto di Slow Tour Padano. Tre serie di 6 puntate. Un giro per le Regioni di produzione del Grana Padano: Piemonte, Emilia, Lombardia, Veneto e Trentino. Per raccontare le cose che mangiamo, chi le fa e come si fanno. Per raccontare che partendo dalla terra e dall’Agricoltura si possono raccontare il Paesaggio, la Gastronomia, il Linguaggio, l’Economia, la Storia e alla fine anche la nostra Salute. Sono partito a bordo della Guzzi Astore, la vecchia moto del mio babbo, geometra di campagna. Poi – dovendo affrontare il tema della transizione ecologica – abbiamo preso la Guzzi Airone del mio amico Erus e l’abbiamo trasformata in elettrica, cioè Elettrone. E ci stiamo ancora lavorando…
Libri
Mi ricordo l’emozione quando Giuliano Parenti mi ha proposto, nei primi anni ’70, di collaborare con lui e di mettere la mia firma sulla copertina di un libro: Giochiamo davvero, un manuale di animazione teatrale. Poi di libri (mai da solo, sempre in collaborazione con altri) ne ho fatti tanti, anche se l’entusiasmo si è molto raffreddato. Il mondo dell’Editoria è messo anche peggio di quello televisivo, anche perché spesso si arrende appunto alla TV, sopravvalutandone la popolarità. In pratica ti fanno fare un libro se hai visibilità televisiva, ma spesso la relazione non funziona. Ho cambiato un sacco di editori, ricavandone sempre scarsa soddisfazione (e scarsi profitti): gli Editori ultimamente ci provano, ma poi spesso non promuovono i loro prodotti. E le Librerie acquistano e mettono in evidenza solo i presunti best-sellers, e un libro “normale” dopo qualche settimana sparisce dagli scaffali. In Italia si scrive molto ma si legge poco, quindi io mi considero un autore-pentito. Comunque il rapporto con gli editor delle varie Case editrici è stato interessante (mi ricordo soprattutto il grandissimo Severino Cesari di Einaudi) e le esperienze comunque positive, quasi tutte. Volendo fare l’elenco:
- Manuale di autodifesa televisiva, con Martino Ragusa, Sperling & Kupfer, 1992
- Di passaggio in India, con Syusy Blady, Franco Cosimo Panini, 1994.
- Il barzellettiere 95, con Davide Parenti, Mondadori, 1995.
- Il barzellettiere 96, con Davide Parenti, Mondadori, 1996.
- Il barzellettiere 97, con Davide Parenti, Mondadori, 1997.
- Le valli del Panaro e del Samoggia, con Syusy Blady, Touring Club Italiano, 1997.
- Eurobarzellettiere. Risate senza confini, con Davide Parenti e Martino Ragusa, Mondadori, 1998.
- Quel poco che abbiamo capito del mondo facendo i Turisti per caso, con Syusy Blady, Einaudi Stile Libero, 2000. (l’unico che ha venduto molto, più di 40.000 copie)
- Aqua – Forme e percorsi delle nostre acque, con Mario Tozzi, Banca CRV, 2004.
- Golosi per caso. Viaggio nel mondo dei sapori, con Syusy Blady e Martino Ragusa, Edagricole-New Business Media, 2005.
- Turisti di cibo. Il grand tour del buon mangiare, con Syusy Blady e Martino Ragusa, Edagricole-New Business Media, 2006.
- Chiudi il gas e vieni via. Viaggi di un sedentario, Editrice Socialmente, 2007. (questo col mio grande amico Oscar Marchisio come editore.)
- Misteri per caso, con Syusy Blady, Rizzoli, 2011. (è tutta farina del sacco di Syusy, ma l’editore ha voluto che ci fossi anche io, per motivi pubblicitari)
- Gustologia, con Martino Ragusa, Rai Eri, 2017
Un’esperienza che ancora va avanti, dopo anni, è la Rivista Turistipercaso – Slow Tour, a suo tempo edita da EdMaster e adesso da SPREA, a cui io tengo moltissimo. La filosofia è quella del Sito Turistipercaso, cioè un contributo collettivo di turisti e viaggiatori. Ma – se è vero che il Medium è il Messaggio – la carta ha un suo perché. Carta canta, come si dice, e in questo caso la canzone racconta di contributi a volte più approfonditi, di variazioni su temi letterari, di resistenza umana nei confronti del digitale imperante. Anche se naturalmente la si trova anche digitale. Una novità è rappresentata da QRcode, coi quali si possono vedere anche i nostri filmati. Ma su questo sito ne riparliamo. Appunto: se siete arrivati a leggere fin qui – e se siete ancora curiosi di me – le cose che sto facendo oggi le trovate nelle altre parti del Sito.
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